Bologna, telefoni per i boss in carcere: cinquanta persone denunciate
La Procura ha chiuso l’inchiesta svolta dalla polizia penitenziaria negli ultimi due anni
BOLOGNA – Sono oltre 150 i telefonini sequestrati in 2 anni nel carcere della Dozza, e quasi il doppio le schede telefoniche scoperte, assieme a decine di caricabatterie, durante le perquisizioni. La Procura ha chiuso l’inchiesta sui cellulari introdotti illegalmente con un’indagine, coordinata dal pm Roberto Ceroni e condotta dalla Mobile e dal Nucleo investigativo della polizia penitenziaria. Sono cinquanta le persone indagate, tra cui 48 detenuti, il padre di uno di loro e un’avvocata si è prestata a introdurre gli apparecchi durante i colloqui con i propri assistiti. Le accuse sono mosse a boss calabresi, campani e pugliesi, a capi di organizzazioni albanesi, romene e magrebine, molti dei quali rinchiusi nel settore alta sicurezza, riservato ai soggetti più pericolosi. Da due anni, Boss e affiliati della criminalità organizzata utilizzavano i cellulari per tenere rapporti con i clan e lo stesso facevano i criminali comuni per i quali la possibilità di avere contatti con l’esterno era anche merce di scambio. Secondo le ipotesi investigative, in cambio delle telefonate altri detenuti erano pronti a ripagarli con regali e favori, senza contare il “prestigio” e la considerazione di cui i possessori godevano all’interno della Dozza. Mettere a disposizione un telefonino significa ottenere la fedeltà di compagni di cella e rafforzare il proprio potere nelle gerarchie presenti nell’istituto penitenziario. La Penitenziaria ha individuato l’avvocata che in un’occasione aveva nascosto due microtelefoni tra i capelli, ma il suo coinvolgimento è episodico e il materiale sequestrato nel tempo arrivava attraverso canali diversificati. Di recente, la polizia ha arrestato anche un 39enne napoletano legato alla camorra che di recente è stato trasferito in un altro carcere, e un corriere, sempre napoletano, che portava materialmente i telefonini alla Dozza. In un’occasione è stato indagato un dipendente esterno, mentre nel filone di indagine più eclatante si è scoperto che alcuni albanesi si facevano recapitare i telefonini con un drone che sorvolava il cortile del carcere lasciandoli cadere all’interno.(bolognaindiretta)