Questa mattina al Senato relazione della ministra della giustizia Marta Cartabia sull’amministrazione della giustizia
Di seguito abbiamo inserito la parte della relazione riguardane il sistema penitenziario , questo pomeriggio la ministra interverra’ alla Camera dei Deputati
Penitenziario
Quanto al carcere, come ho avuto già modo di osservare, la pandemia ha fatto da detonatore di questioni irrisolte da lungo tempo. Questi anni sono stati durissimi. Le tensioni, le paure, le incertezze, l’isolamento che tutti abbiamo sperimentato erano e sono amplificati dentro le mura del carcere. Per tutti: per chi lavora in carcere e per chi in carcere sconta la sua pena.
Se vogliamo farci carico fino in fondo dei mali del carcere – in primo luogo perché non si ripetano mai più episodi di violenza, ma più ampiamente perché la pena possa davvero conseguire la sua finalità, come prevista dalla Costituzione – occorre concepire e realizzare una strategia che operi su più livelli: gli improcrastinabili investimenti sulle strutture penitenziarie, un’accelerazione delle assunzioni del personale, una più ricca offerta formativa per il personale in servizio e la diffusione dell’uso delle tecnologie, tanto per le esigenze della sicurezza, quanto per quelle del “trattamento” dei detenuti.
Il primo e più grave tra tutti i problemi continua ad essere il sovraffollamento: ad oggi su 50.832 posti regolamentari, di cui 47.418 effettivi, i detenuti sono 54.329, con una percentuale di sovraffollamento del 114%. È una condizione che esaspera i rapporti tra detenuti e rende assi più gravoso il lavoro degli operatori penitenziari, a partire da quello della polizia penitenziaria, troppo spesso vittima di aggressioni. Sovraffollamento significa maggiore difficoltà a garantire la sicurezza e significa maggiore fatica a proporre attività che consentano alla pena di favorire percorsi di recupero.
Con l’attuazione della legge delega in materia penale si svilupperanno le forme di esecuzione della pena diverse, alternative al carcere, soprattutto in riferimento alle pene detentive brevi. E questo darà sollievo anche alle troppo congestionate strutture penitenziarie. Può essere interessante sottolineare che già oggi sono più numerosi coloro che scontano la pena – in vario modo – fuori da un carcere: oltre 69mila a fronte di circa 54mila detenuti. Queste 69.140 persone per l’esattezza al 31 dicembre 2021 sono in carico agli uffici della esecuzione penale esterna, UEPE; aggiungendo i procedimenti tuttora pendenti, diventano oltre 93mila i fascicoli in corso presso questi uffici, con una media di procedimenti per funzionario pari a 105 Si compone infatti di solo 1.211 unità il personale per l’esecuzione penale esterna per adulti
È evidente la necessità di potenziare questo settore e le forze politiche hanno avuto la sensibilità di sottolinearlo in un ordine del giorno, approvato a margine della legge di bilancio, impegnando il Governo ad incrementare il personale dedicato all’esecuzione penale esterna.
Naturalmente occorre fare molto anche per le strutture edilizie.
Alcune non sono degne del nostro Paese e della nostra storia. Venerdì scorso, sono stata al carcere di Sollicciano a Firenze e ho potuto vedere di persona le condizioni indecorose di questo, come di altri istituti, nonostante la manutenzione straordinaria in atto. Indecoroso e avvilente per tutti. E non a caso, sono tantissimi gli episodi di autolesionismo, mentre questo 2022 registra già drammaticamente cinque suicidi. Vivere in un ambiente degradato di sicuro non aiuta i detenuti nel delicato percorso di risocializzazione e di certo rende più gravoso il già impegnativo lavoro di chi ogni mattina varca i cancelli del carcere per svolgere il suo lavoro.
Il tema degli spazi richiede anzitutto interventi finalizzati a garantire le essenziali condizioni di decoro e igiene, ma implica anche un ripensamento dei luoghi, in modo che essi non siano solo “contenitori stipati di uomini”, ma ambienti densi di proposte. Attività, cultura, e soprattutto lavoro. Solo così si assolve appieno al valore costituzionale della pena, che non può essere un tempo solo di attesa (del fine pena), ma di ricostruzione. E in questa prospettiva – mi piace ricordare – si sono mossi i lavori della Commissione sull’architettura penitenziaria che al mio arrivo al Ministero stava terminando il suo compito, con fecondi suggerimenti.
In quest’ottica, nell’ambito dei fondi complementari al PNRR, è stata prevista la realizzazione di otto nuovi padiglioni. Si tratta di ampliamenti di istituti già esistenti, che riguardano tanto i posti disponibili – le camere – quanto gli spazi trattamentali: questo è un aspetto su cui abbiamo corretto precedenti progetti. Nuove carceri, nuovi spazi, non può significare solo nuovi posti letto.
Oltre alle risorse del PNRR, per il triennio 2021-2023, abbiamo anche previsto circa 381 milioni per le indispensabili ristrutturazioni e l’ampliamento degli spazi.
Da mesi, mi sto adoperando molto – insieme al Ministro della Salute e al Ministro per gli affari regionali e agli altri attori istituzionali – anche sull’urgente tema della salute mentale in carcere. È un dramma enorme, ma mi fa piacere segnalare che è in costante calo il numero dei detenuti in attesa di entrare nelle REMS: erano 98 nell’ottobre 2020, divenuti 35 nella stessa data del 2021.
Carenze di spazi, carenze di personale. Insieme al DAP, stiamo da tempo lavorando anche per invertire la tendenza alla grave diminuzione del personale che si è verificata nel corso degli anni. Siamo riusciti a far ripartire i concorsi, che si erano arrestati per le limitazioni dovute all’emergenza pandemica e che, proprio in queste settimane, si stanno perfezionando.
A breve prenderanno servizio complessivamente 1.650 allievi agenti; altri 1.479 arriveranno dal concorso bandito lo scorso ottobre e si prevede di bandirne un altro per circa 2.000 posti quest’anno. E rimando alla relazione depositata, per un quadro completo delle cifre che riguardano tutte le figure professionali.
Occorre anche investire di più nella formazione, per tutto il personale e, in particolare, per quello della Polizia penitenziaria. Sono gli stessi agenti a chiederlo, come giustamente mi ripetono in continuazione i sindacati.
La Polizia penitenziaria svolge un compito complesso e delicatissimo, ancora troppo poco conosciuto. Oltre all’esercizio della tradizionale funzione della vigilanza e della custodia, la Polizia penitenziaria è quotidianamente accanto al detenuto nel percorso rieducativo, come vuole la nostra Costituzione. Vigilare e accompagnare. Occorrono fermezza e sensibilità umana e, soprattutto, altissima professionalità per svolgere un compito tanto affascinante quanto difficile. Il lavoro in carcere non può essere lasciato all’improvvisazione o alle doti personali.
In questi mesi, ho raccolto molte testimonianze che raccontano quanto sia stata decisiva la presenza di un agente per segnare una svolta nella vita di un detenuto: basterebbe leggere la storia di un ragazzo della periferia milanese raccontata nel libro Ero un bullo, un giovane che, a partire da un passato criminale, tra carcere minorile e rieducazione in comunità, è arrivato a laurearsi e a diventare educatore in quella stessa comunità che lo aveva ospitato e accompagnato. Una pagina importante di quella storia è stata scritta dall’agente di polizia penitenziaria che lo faceva lavorare. Una storia di speranza – e, credetemi, non è l’unica! Una storia che ci dice che i nostri costituenti non erano dei sognatori.
Lo scorso 17 dicembre, la Commissione per l’innovazione del sistema penitenziario, da me istituita per proporre soluzioni che possano contribuire a migliorare la qualità della vita nell’esecuzione penale, ha concluso i suoi lavori e rassegnato molte proposte per il miglioramento concreto della “quotidianità penitenziaria”, con un focus particolare sulla gestione della sicurezza, sull’impiego delle tecnologie, sulla tutela della salute, sul lavoro e sulla formazione professionale dei detenuti, e sulla formazione del personale.
Grandi potenzialità ci sono offerte dalle nuove tecnologie: video sorveglianza, bodycam, sistemi anti-droni, già esistenti in alcuni istituti, colloqui a distanza, lezioni e conferenze online, ma anche totem per segnalare esigenze dei detenuti, archiviando la famosa “domandina”, simbolo di una vetusta concezione del carcere. E così anche nuove forme per le prenotazioni dei colloqui dei familiari e soprattutto telemedicina e fascicolo sanitario elettronico: grazie alla disponibilità del Ministro per la transizione tecnologica si stanno progettando molti interventi che possono anche diventare altrettante occasioni di lavoro per i detenuti.